Una fonte radioattiva nel sottosuolo favorisce lo scioglimento dei ghiacci in Antartide.
I cambiamenti climatici esistono eccome, checché ne dica Trump. Per il quale sembra che l’uomo non c’entri niente con l’innalzamento delle temperature medie. Atteggiamento scettico, sprezzante e probabilmente anche interessato nei confronti di coloro che inquinano in maniera abbondante negli States l’atmosfera terrestre.
Allora, cominciamo a dire che le evidenze scientifiche della relazione diretta fra inquinamento atmosferico e aumento della temperatura, sono tali e tante da essere difficilmente confutabili.
Da una parte esiste l’inquinamento in quanto tale, con i gas, anidride carbonica in testa, che avvolgono la Terra rendendo l’aria sempre più difficilmente respirabile, specialmente nelle zone industriali e nelle grandi città.
Ormai fanno il giro del mondo foto di Pechino e Shangai, dove la gente va in giro con le mascherine antismog. Addirittura le persone fanno jogging indossando queste mascherine.
Certo, non tutto il globo versa in queste condizioni, ma la direzione di marcia intrapresa è decisamente preoccupante. Vengono firmati protocolli di intesa internazionali finalizzati alla riduzione dell’inquinamento, eppure si ha l’impressione che siano rispettati in parte e che non vi sia una vera volontà di innestare decisamente la retromarcia.
Naturalmente, l’innalzamento delle temperature tende a sciogliere i ghiacci e conseguentemente a far innalzare il livello medio delle acque. Tuttavia altri fenomeni naturali possono coesistere con quelli antropici.
Ma gli effetti dei fenomeni naturali son più difficilmente evidenziabili e misurabili, posto che fanno riferimento a cicli lunghi o lunghissimi, rispetto ai quali ovviamente non possiamo avere misurazioni e dati sufficientemente probanti.
Può influire in maniera sostanziale sul clima, ad esempio, l’inclinazione dell’asse terrestre rispetto al piano dell’orbita solare.
Così come può influire in maniera importante l’attività stessa del sole, che periodicamente ha dei minimi e dei massimi. Il problema vero è la quantificazione di questi fenomeni, la traduzione in dati, il che non è per nulla semplice. Ma a contribuire allo scioglimento dei ghiacci, oltre ad eventi per così dire esogeni, possono esserci anche eventi endogeni.
Ad esempio nell’Antartide è stata da poco scoperta una fonte radioattiva che potrebbe contribuire in maniera importante allo scioglimento. La scoperta è stata fatta da un gruppo di ricercatori britannici e italiani.
La fonte radioattiva pare provenire dal cuore della Terra, vicina al Polo Sud magnetico. Le rilevazioni sono state fatte attraverso i radar del British Antarctic Surveys, quell’organizzazione che si occupa delle ricerche in Antartide.
In questa zona probabilmente si trovano delle rocce radioattive. Sopra di queste, in un’area vasta quanto l’area metropolitana di Londra, è stato rilevato che i ghiacci si stanno sciogliendo a cominciare dal basso dirigendosi verso l’alto. Antonio Meloni, Presidente della Commissione Scientifica Nazionale per l’Antaride, riferisce in proposito:
“La scoperta conferma ancora una volta che lo scioglimento dei ghiacciai in Antartide risente anche di effetti locali come fonti radioattive o vulcani, perché è un continente coperto di ghiacci, a differenza dell’Artide che è un oceano che si gela e risente solo degli effetti generali del riscaldamento climatico”.
Il radar ha misurato lo spessore della copertura di ghiaccio fino alla profondità di tre chilometri e con questi dati i ricercatori hanno ottenuto una grandissima mappa di tutta l’Antartide, a una scala molto dettagliata, che ha consentito di conoscere lo spessore del ghiaccio.
Poi, vedendo che quest’ultimo si assottigliava in alcuni punti “dal basso verso l’alto”, è stato possibile verificare la presenza di una sorgente sottostante che ne causa la fusione. Meloni ha poi sottolineato che il merito della scoperta va anche all’Italia, che ha contribuito al progetto riguardante la perlustrazione di tutto l’Antartide.
Dal canto suo Tom Jordan, il coordinatore della ricerca, aggiunge:
“ll processo probabilmente va avanti da migliaia, o forse milioni di anni, e non sta contribuendo direttamente al cambiamento della calotta polare. Tuttavia, in futuro l’acqua che si accumula alla base del ghiaccio potrebbe rendere questa regione più sensibile a fattori esterni come i cambiamenti climatici”.